La psicoterapia aiuta a contenere stress e insonnia

Prosegue il nostro approfondimento sugli acufeni, per i quali un valido aiuto può venire dalla psicoterapia. Cosa sono gli acufeni e cosa si può fare per ridurre il disagio, anche grave, che comportano? “Il sintomo può essere contenuto, e tutti gli effetti collaterali associati come ansia, depressione, stress, insonnia, irritabilità sono assolutamente gestibili e risolvibili e non è vero che bisogna conviverci”. Ce ne parla la psicologa e psicoterapeuta Nicoletta Pisanò.

IL PUNTO DI VISTA MEDICO

La psicologa e psicoterapeuta Nicoletta Pisanò

1 Che cosa sono gli acufeni e cosa ne dicono gli studi più recenti? 

Gli acufeni sono suoni fastidiosi percepiti in uno o entrambe le orecchie o nella testa, presenti quasi esclusivamente negli adulti e negli anziani in percentuale del 10 % -15 % su tutta la popolazione. Possono essere paragonati a fischi o ronzii, pulsanti o intermittenti, costanti o fluttuanti.  La “forza” dell’acufene è misurabile con prove audiometriche di acufenometria, ma sono la percezione soggettiva e le conseguenze sulle persone che ne soffrono il problema maggiore perché l’acufene può essere percepito come molto fastidioso o intollerabile fino a condizionare pesantemente le normali attività della vita quotidiana. Gli acufeni sono percepibili esclusivamente da chi ne soffre, essendo un suono interno che nasce nelle vie uditive e si mantiene nel cervello e solo una piccolissima percentuale è percepibile dall’esterno.

Da un punto di vista medico l’acufene è un sintomo di carattere generale, come può essere la febbre, dietro al quale ci possono essere varie patologie e non tutte a carico dell’orecchio o delle vie acustiche, anche se i danni all’orecchio interno si riscontrano praticamente sempre. E’ quindi indispensabile rivolgersi a medici specialisti audiologi la prima volta che si sente un acufene, in quanto solo il medico sarà in grado di stabilire quale ne sia la causa.  Da cosa si origina l’acufene?

Per capirlo è necessario conoscere come funziona l’orecchio interno di cui la coclea è elemento centrale. I suoni esterni vengono tradotti dalle cellule ciliate della coclea in impulsi elettrici che viaggiano sul nervo acustico e vengono poi elaborati dai nuclei nervosi sottocorticali e dal cervello, in un percorso a doppio senso (sistema di controllo in feedback) che ha lo scopo di perfezionare la percezione del suono. Recenti teorie affermano che il sistema uditivo lavori in uno scambio interattivo di informazioni tra il sistema motorio e altri sensi per perfezionare la percezione sonora. E’ intuibile che traumi o alterazioni, anche temporanee, di questo equilibrio che non generano danno soggettivamente percepibile all’udito, possano però danneggiare le cellule ciliate della coclea e quindi generare uno squilibrio nei nuclei nervosi, avendo come conseguenza l’insorgenza dell’acufene.

Esistono molte cause che possono mettere in sofferenza le cellule della coclea e da questo si origina la difficoltà di trovare una cura unica per l’acufene. A complicare il quadro della gestione e cura dell’acufene è che il suo mantenimento avviene in collaborazione con il cervello che è la sede dove tutti i suoni vengono “sentiti”. Il cervello sviluppa un’attenzione selettiva per l’acufene che in alcuni casi si è visto mantenersi anche quando s’interrompe la trasmissione del nervo acustico, per esempio in conseguenza ad un taglio chirurgico. E questo incide sul mantenimento dell’acufene e quindi del disagio provato e le nostre risposte emozionali.

2 Cosa può fare la psicoterapia per aiutare chi ne soffre?

Come già detto l’acufene è un sintomo che ha molte cause. E’ frequente che le persone raccontino di avere avuto il primo acufene dopo, o in conseguenza, di un periodo difficile o dopo aver condotto una vita stressante dai ritmi scorretti per peridi prolungati. Questa condizione facilita il presentarsi dell’acufene che poteva essere anche già presente, ma non essere stato ancora “percepito”.

La diagnosi medica di acufene è spesso accompagnata dall’affermazione “non può farci niente, ci deve convivere”. Il sintomo però può essere contenuto, e tutti gli effetti collaterali associati come ansia, depressione, stress, insonnia, irritabilità sono assolutamente gestibili e risolvibili e non è vero che “bisogna conviverci”. Il principio alla base della gestione dell’acufene è l’abitudine che in alcuni casi s’instaura da sola, ma per acufeni percepiti come molto fastidiosi, questo processo può non iniziare spontaneamente o essere impossibile per i sentimenti di ansia, paura e agitazione che si associano, in conseguenza della percezione soggettiva dell’acufene come “fuori controllo” e che spesso non sono facili da gestire. Principio cardine dell’approccio psicologico è quindi quello di cambiare la convinzione del paziente da: “Non posso farci nulla e subisco le conseguenze” a “E’ nelle mie possibilità gestire e cambiare la condizione nella quale vivo”.

Il lavoro psicologico parte da una valutazione iniziale che raccolga la storia del paziente e l’utilizzo di un questionario di valutazione della gravità dell’acufene (THI) che permetta di definire quanto l’acufene sia un elemento disturbante nella vita delle persone. A questo segue un percorso psicologico di counseling condotto da un professionista psicologo che aiuta il paziente a gestire in prima persona il processo di abitudine, vero atto terapeutico, per ridurre il disagio creato dall’acufene. Un disagio che condiziona pesantemente la vita del paziente. Spesso, quando l’acufene assume il carattere di “gravità”, questo influenza anche il lavoro e il rapporto con il partner o con il resto della famiglia. Un ambiente familiare comprensivo della problematica dell’acufene getta le basi per un buon proseguimento della terapia anche per il mantenimento nel tempo dei risultati raggiunti. E’ quindi possibile che un incontro con la psicologa sia dedicato all’interno nucleo familiare.

Obiettivo del percorso terapeutico è anche quello di lavorare sull’idea che alcuni pazienti hanno di “diventare matti” e sul carico di angoscia che il paziente porta nell’incontro con il medico di fronte alla diagnosi di malattia cronica. Il percorso psicologico si viene quindi a collocare all’interno di una presa in carico personalizzata e d’equipe, che comprende il medico audiologo, l’audioprotesista e la psicologa.

2 Fino a qui la psicoterapia. Cosa altro si può fare? 

Evitare il silenzio fino a quando il processo di abitudine che si innesca spontaneamente o in conseguenza del percorso riabilitativo, fa scivolare l’acufene nel “rumore di fondo non significativo” che normalmente percepiamo.

Utilizzare l’arricchimento sonoro ambientale (rumori bianchi) e la TRT (Tinnitus Retraining Therapy) quando consigliata da un audiologo o audioprotesista se l’acufene è particolarmente fastidioso.

La TRT è un generatore di suoni che non copre l’acufene – sarebbe sbagliato in quanto il processo di abitudine non avverrebbe-  ma semplicemente produce un suono o una serie di suoni variabili che spingono il cervello nella direzione di considerare il suono “acufene” come emotivamente non significativo e quindi, con il tempo, ne “spegne” la percezione.

3 E' ormai accertato che l’impianto cocleare, come l’uso delle protesi acustiche, può portare giovamento. Perché?

L’arricchimento sonoro proveniente dall’esterno impedisce che il cervello si concentri in modo esclusivo sull’acufene, trasformandolo in un rumore di fondo di cui non interessarsi perché non significativo. E’ chiamata attenzione selettiva perché solo gli stimoli sonori nuovi o quelli interessanti per la persona o le sue attività sono presi in considerazione: tutti gli altri sono esclusi. Esempio: quando si cambia casa, magari vicino alla stazione dei treni, per un mese o più non si può stare con le finestre aperte, poi col tempo non si sentono più i rumori della stazione. Non sono spariti fisicamente, solo la nostra attenzione non è più concentrata sull’ascoltarli perché sono diventati familiari e non significativi.

E’ probabile che una volta tolte le Pa o l’IC l’acufene ricompaia, essendosi ristabilita la condizione di silenzio. Rimanere in una condizione di percezione sonora il più a lungo possibile, quindi anche di notte, certamente facilita. In questo caso specifico le tecniche di rilassamento sono le più indicate per dormire e potrebbe capitare che il processo di abitudine all’acufene richieda tempi più lunghi ma con i dovuti accorgimenti avverrà.

4 Che cosa consigliare a una persona che soffre in modo significativo di questo disturbo, che può diventare altamente invalidante? 

Per prima cosa costanza e pazienza. L’acufene è un sintomo gestibile, soggettivo nella sua percezione e fastidio e quindi anche le tecniche consigliate hanno tempi ed efficacia soggettivi.

- accertamento medico approfondito della causa dell’acufene e cura delle cause scatenanti, quando possibile.

- accettazione il più rapida possibile della nuova condizione partendo dai principi che non è vero che non si può fare nulla, ma che la gestione dell’acufene obbliga ad un cambio di prospettiva rispetto al modo di curarsi: ci si deve prendere cura di sé attraverso un atteggiamento attivo che parte dal principio di “abitudine” descritto sopra e che il nostro cervello è già programmato ad usare.

- utilissime sono le tecniche di rilassamento da praticare in ambienti non silenziosi, ma arricchiti da suoni bianchi come lo scorrere dell’acqua. In questo caso le fontanelle Zen sono preziose, oltre che gradevoli da vedere. Vanno bene anche le musiche rilassanti per la meditazione, purché ascoltate senza le cuffiette, ma in open ear.

- per l’addormentamento, imparare tecniche di meditazione o yoga o anche auto ipnotiche da praticare poco prima di addormentarsi facilita il rilassamento. Durante la notte se si è molto infastiditi esistono cuscini che al loro interno hanno un altoparlante e un meccanismo che produce suoni bianchi.

-intraprendere un percorso terapeutico con uno psicologo (psicoterapia) per imparare a spostare il locus of control da esterno a interno e a gestire le emozioni negative come paura, ansia e depressione.

 

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